Stile Epistolare nel tempo

Stile epistolare nel tempo

Caterina da Siena, Lettere

I, A Monna Lapa, sua madre

CCXXXI, A Gregorio XI -726

Caterina di Jacopo di Benincasa, conosciuta come Caterina da Siena (Siena 1347 – Roma 1380) è stata una religiosa, teologa e mistica italiana.

Venerata come santa, fu canonizzata nel 1461. È stata dichiarata patrona d’Italia insieme a san Francesco d’Assisi nel 1939 e compatrona d’Europa nel 1999. La sua ricorrenza è il 30 aprile.

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Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis

Al lettore

Pubblicando queste lettere, io tento di erigere un monumento alla virtù sconosciuta; e di consacrare alla memoria del solo amico mio quelle lagrime, che ora mi si vieta di spargere su la sua sepoltura. E tu, o Lettore, se uno non sei di coloro che esigono dagli altri quell’eroismo di cui non sono veglino stessi capaci, darai, spero, la tua compassione al giovane infelice del quale potrai forse trarre esempio e conforto.

Lorenzo Alderani

Libertà va cercando, ch’è sì cara,

come sa chi per lei vita rifiuta.

da’ colli Euganei, 11 Ottobre 1797

Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia. Il mio nome è nella lista di proscrizione, lo so: ma vuoi tu, ch’io per salvarmi da chi m’opprime mi commetta a chi mi ha tradito ? Consola mia madre: vinto dalle sua lagrime le ho obbedito, e ho lasciato Venezia per evitare le prime persecuzioni, e le più feroci. Or dovrò io abbandonare anche questa mia solitudine antica, dove, senza perdere dagli occhi il mio sciagurato Paese, posso ancora sperare qualche giorno di pace ? Tu mi fai raccapricciare, Lorenzo: quanti sono dunque gli sventurati ? E noi, purtroppo, noi stessi Italiani ci laviamo le mani nel sangue degl’Italiani. Per me segua che può. Poiché ho disperato e della mia patria e di me, aspetto tranquillamente e la prigione e la morte. Il mio cadavere, almeno, non cadrà fra le braccia straniere; il mio nome sarà sommessamente compianto da’ pochi uomini, compagni delle nostre miserie; e le mie ossa poseranno su la terra de’ miei padri.

13 Ottobre

Ti scongiuro, Lorenzo; non ribattere più. Ho deliberato di non allontanarmi da questi colli. È vero ch’io avevo promesso a mia madre di rifuggirmi in qualche altro Paese; ma non mi è bastato il cuore: e mi perdonerà, spero. Merita poi questa vita di essere conservata con la viltà, e con l’esilio ? In Italia ? terra prostituita premio sempre della vittoria. Potrò io vedermi dinanzi agli occhi coloro che ci hanno spogliati, derisi, venduti, e non piangere d’ira ? Devastatori de’ popoli, si servono della libertà come i Papi si servivano delle crociate. Ahi ! sovente disperando di vendicarmi mi caccerei un coltello nel cuore per versare tutto il mio sangue fra le ultime strida della mia patria.

E questi altri ? – hanno comperato la nostra schiavitù, racquistando con l’oro quello che stolidamente e vilmente hanno perduto con le armi. – Davvero ch’io somiglio un di que’ malavventurati che spacciati morti furono sepolti vivi, e che poi rinvenuti, si son trovati nel sepolcro fra le tenebre e gli scheletri, certi di vivere, ma disperati del dolce lume della vita, e costretti a morire fra le bestemmie e la fame. E perché farci vedere e sentire la libertà, e poi ritorcerà per sempre ? e infamemente !

Le ultime lettere di Jacopo Ortis o Ultime lettere di Jacopo Ortis (1802)è un romanzo di Ugo Foscolo (1778-1827), considerato il primo romanzo epistolare della letteratura italiana,  nel quale sono raccolte 67 lettere inviate dal protagonista Jacopo Ortis all’amico Lorenzo Alderani, il quale le avrebbe poi date alla stampa corredandole di una presentazione e di una conclusione.

Vagamente ispirato ad un fatto reale e al modello letterario de Die Leiden des jungen Werthers di J. W. von Goethe, l’opera risente molto dell’influsso di Vittorio Alfieri. Il romanzo fu estremamente popolare tra i giovani del Risorgimento. 

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Aldo Moro, lettera a Papa Giovanni XXIII del 3 febbraio 1962

Roma, 3 febbraio 1962

Beatissimo Padre,

compio il gradito dovere di esprimere alla Santità Vostra i miei vivissimi sentimenti di gratitudine per il paterno diretto interessamento e per la comprensione e altissima benevolenza, con le quali la Santità Vostra si è benignata di incoraggiare in questo momento difficile il lavoro dei cattolici impegnati nella vita pubblica italiana.

ritengo di poter assicurare la Santità Vostra che questo impegno è sentito come uno sforzo rivolto a dare testimonianza, la più efficace possibile dei valori cristiani nella vita sociale, ed è assunto e svolto nella fedeltà più piena alla sede apostolica e alla gerarchia nell’adesione costante alla dottrina sociale cristiana, nella fiducia che nella verità cristiana e la carità, tradotte, così com’è possibile, nella vita politica e nel dibattito democratico, possano dare un contributo fondamentale ed anzi insostituibile alla integrità delle istituzioni al progresso economico e civile e alla pace sociale in Italia.

La Democrazia cristiana non verrà mai meno, pur nel necessario adattamento alle contingenze politiche in vista della salvezza della democrazia italiana, alla sua ispirazione e alle sue caratteristiche di raggruppamento, essenzialmente, di cattolici militanti e preoccupati non solo di provvedere al bene del Paese, ma di assicurarsi altresì, per quanto sta in loro, la libertà della Chiesa e le condizioni per il pieno ed efficace svolgimento della sua azione apostolica in Italia.

Sarebbe per me un altissimo onore e una grande gioia potere, in un momento opportuno, esprimere di persona alla Santità Vostra i filiali sentimenti di profonda devozione che animano me, la mia famiglia, il mio partito.

Voglia, Beatissimo Padre, far discendere confortatrice su di noi l’apostolica benedizione.

Chino al bacio del s. piede, prego voler gradire, Beatissimo Padre, i miei devotissimi ossequi, mentre mi professo della Santità Vostra.

obb.mo e dev.mo in Domino

Aldo Moro (Maglie, 1916 – Roma,1978) fu un politico italiano. Nel 1962 era Segretario Nazionale del partito della Democrazia Cristiana, il principale partito politico italiano dal 1946 al 1994, quando si sciolse.

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Ritratto del panettiere Terentius Neo e di sua moglie

Il cosiddetto ritratto di Paquio Proculo è un affresco  conservato presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, rinvenuto nella “casa di Pansa” negli scavi archeologici di Pompei. 

L’affresco ritrae una coppia di borghesi pompeiani, quasi certamente marito e moglie. Essi vengono comunemente indicati come “Paquio Proculo e sua moglie”, a causa di una scritta rinvenuta sull’esterno della casa; in realtà si tratterebbe del panettiere Terentius Neo, come rivelerebbe un graffito rinvenuto all’interno della casa, mentre la scritta esterna apparteneva ad un manifesto di propaganda elettorale a favore di Paquio Proculo, effettivamente poi eletto come duoviro di Pompei.

Il panettiere – che possedeva il suo pistrinum sulla via dell’Abbondanza – sull’affresco si presenta abbigliato con la toga, qualificandosi in tal modo come cittadino romano.  Si è ipotizzato, inoltre, che i caratteri somatici dei due personaggi raffigurati ne tradiscano le origini sannitiche, che spiegherebbe il desiderio di ostentazione dello stato sociale raggiunto: l’uomo raffigurato stringe infatti un rotolo di papiro (rotulus), mentre la donna tiene in mano una tavoletta cerata e lo stilo,  suggerendo che l’uomo si occupasse di attività pubbliche o culturali e che la donna si occupasse invece dell’amministrazione della casa e degli affari: infatti le tavolette cerate rinvenute a Pompei che presentano ancora tracce di iscrizioni, sono tutte a carattere commerciale ed economico (contratti di fitto, ricevute, compravendite, note di addebito o di accredito, ecc.).

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